Lo sguardo d’aquila sul business
Cos’è la resilienza? Mi voglio impegnare a far comprendere con parole semplici questo concetto.
Il problema è che solo ciò che si sperimenta può essere compreso. Siamo abituati a sottovalutare le implicazioni pratiche dei concetti e pensiamo di sapere. Diamo per scontato e non ci prepariamo adeguatamente.
Partiamo da una constatazione. Con la resilienza il compito di renderla concreta è semplice.
L’individuo e le organizzazioni sono resilienti per natura. Ce l’abbiamo nel DNA. Ci adattiamo.
Ci trasformiamo per rispondere alle sollecitazioni dell’ambiente interno ed esterno. La resilienza è una delle caratteristiche della sopravvivenza.
La resilienza, quindi, è qualcosa che viviamo quotidianamente.
Pensiamo alle sollecitazioni che arrivano dalle relazioni. Si è belli tranquilli alla propria scrivania. Arriva la telefonata dell’AD che ci mette sul piatto una situazione nuova e imprevista. Rispondiamo con resilienza proprio quando si tratta di qualcosa di sconosciuto.
Non c’è da capirla la resilienza. C’è da scoprirla dentro di noi. E chiederci: si può aumentare? Si può aumentare la resilienza della propria organizzazione?
Ci sono persone più resilienti di altre e team più resilienti di altri.
La resilienza ci fa sopravvivere. Aumentare la resilienza significa avere due vantaggi in più:
Immaginiamo che qualcosa di inaspettato si abbatta sulla nostra organizzazione. Più essa è resiliente più si possono attenuare gli effetti dell’evento. Più velocemente si può rispondere con prontezza e con forza.
L’atteggiamento fatalista rispetto all’inaspettato non aiuta. L’atteggiamento di voler avere sotto controllo tutto non è di aiuto.
L’atteggiamento dell’osservazione è quello giusto.
Vediamoli uno per uno. L’atteggiamento fatalista contiene in sé una sorta di finta arresa alle circostanze del fato. In realtà, è un modo inconscio di vivere, perché allarga il cono d’ombra della nostra azione e restringe la visuale.
In effetti, quando ho un atteggiamento fatalista, si è pigri, meccanici. La vita non ci dà mai shock enormi all’improvviso. Ci dà sempre delle avvisaglie di minore entità che mettono in evidenza i nostri punti critici. Noi non rispondiamo per cecità o per pigrizia. Non vogliamo allargare lo sguardo a tutto ciò che accade.
All’altro estremo, l’atteggiamento del controllo è un altro modo di irrigidire la mente e restringere la visuale. Non si può controllare tutto. L’attitudine al controllo ci focalizza su ciò che temiamo di più e che non necessariamente è ciò che accadrà.
Ripeto la vita ci dà sempre avvisaglie di fenomeni che mettono in evidenza una nostra ridotta capacità di risposta. È importante saper cogliere questi segnali e prepararsi in tempo. Quando accadrà una crisi di enorme portata saremo pronti e quindi più resilienti.
Come si accresce la propria resilienza? Semplice. Con l’osservazione. Cosa è questa osservazione?
Pensate ad un’aquila su nel cielo e alla sua prospettiva visiva. Vede tutto e riesce a cogliere il particolare. Quando ha individuato la preda, vola spedita sull’obiettivo. L’
osservazione è acquisire nel tempo uno sguardo acuto sulla situazione come quella di un’aquila.
L’osservazione è un atteggiamento, non è un fare.
Essa non è un risolvere, è un raccogliere dati per poi elaborarli. Essa è coltivare l’attenzione e la visione a 360°, senza l’ansia di una soluzione.
Tu vedi come un’aquila oppure vedi la tua realtà come un cavallo a cui è stato messo il paraocchi?
Sorge un problema. Chiunque pensa di avere sempre la situazione sotto controllo! Pensa erroneamente di conoscere a sufficienza il proprio ambiente. Finché… non si sveglia! Capita qualcosa che manda in crisi o il suo sistema nervoso o il suo sistema organizzativo!
Il primo ostacolo sulla via dell’aumento della resilienza è l’illusione di sapere.
Per me, l’attività principale per leader e manager non è il risolvere problemi. L’attività principale è mantenere la visione. La resilienza è direttamente connessa alla capacità di visione.
L’illusione di sapere è la massima colpa per un leader o per un manager. Un’illusione che si può pagare a caro prezzo.
Io ho scelto di dedicare la mia vita e la mia attività professionale all’osservazione. Tutto il mio fare segue da quello. Metto a disposizione dei leader due strumenti fondamentali. Essi sono le costellazioni sistemiche e lo zen (meditazione).
Vediamo come agiscono ai fini dell’aumento della resilienza personale e del proprio team.
All’inizio di un fenomeno imprevisto rispondiamo mobilitando risorse per poterlo fronteggiare. Entriamo sotto sforzo:
dobbiamo acquisire nuove competenze in fretta,
dobbiamo imparare a tappare le falle,
dobbiamo intervenire in fretta,
ci spaventiamo,
non abbiamo tempo per elaborare lo shock.
Nel migliore dei casi, l’imprevisto ci piega ma non ci spezza, . Ma non ci rendiamo conto che la parte danneggiata soffre. Serve una riparazione. Serve la condivisione. Serve capire come ha tenuto o meno la rete di relazioni.
Ci sono imprevisti che provengono dall’esterno e imprevisti che vengono dall’interno. Tali imprevisti non bisognerebbe chiamarli così. Sono l’effetto di fenomeni ad impatto minimo nell’immediato. Apparentemente si tratta di situazioni note, ma giudicate di scarsa importanza. Come l’acqua che cava la pietra, imprevedibile è solo l’entità dell’impatto che avrà l’incuria e la cecità.
Pensate a tragedie come il crollo del ponte Morandi:
incuria, sottovalutazione,
arroganza,
scarico di responsabilità,
etc.
Fenomeni simili vengono pesantemente sottovalutati con l’idea che tanto ce se la caverà. E che si potrà scaricare la responsabilità su qualcun altro.
La pandemia è un caso di imprevisto esterno… anche se qualcuno obietterà che vi erano inviti ad attrezzarsi per una pandemia già nel 2007.
Imprevisti esterni o “imprevisti” interni mettono in evidenza quanto siamo resilienti.
Come si aumentano la resilienza organizzativa e quella personale?
La resilienza organizzativa si aumenta tenendo tutti belli svegli.
Il leader deve farsi queste domande. Dove si disperde l’energia del mio sistema? Oppure vi sono blocchi nelle sue articolazioni? L’energia è tanto più fluida
quanto più circolano le informazioni.
quanta più chiarezza nei ruoli e nelle responsabilità
quanto maggiore è la sensibilità ai fenomeni che accadono.
Le persone parlano o si nascondono? Le persone sono al giusto posto? I dipartimenti e i ruoli sono organizzati chiaramente? Com’è lo spirito di squadra e la motivazione? Qual è il commitment delle persone con i progetti e con il loro lavoro? Come è la qualità della leadership?
A tutte queste domande possono dare una risposta le Costellazioni Sistemiche.
Avere una chiara mappa delle relazioni e delle interdipendenze è un grande vantaggio. Sapere quali sono le leggi sistemiche dà le chiavi per poter agire sulle relazioni.
Sapere ciò che i membri di un’organizzazione non vogliono vedere è un vantaggio competitivo. Fa risparmiare sulle inefficienze e può rendere più efficaci.
Avere un cruscotto di comando è essenziale nel governo di un’azienda. Questo danno le Costellazioni Sistemiche. Partendo da tre semplici principi – ordine, equità degli scambi e inclusione – possono aumentare di molto la resilienza di un sistema. Perchè permettono di vedere come un’aquila! Costituiscono una preparazione ad assorbire gli urti dell’imprevisto.
E per gli individui? Come si può aumentare la resilienza?
Le organizzazioni per sopravvivere tendono a sacrificare le singole parti. Tante volte sacrificano gli individui, non solo attività e oggetti.
Non penso solo ai tagli di personale. Penso soprattutto allo stress causato da scarsa chiarezza, poca condivisione, conflitti non chiariti.
Avere gente stressata diminuisce la resilienza! È un fatto!
Oggi lo stress è un fenomeno di larga portata. Nella mia attività di consulente e trainer, incontro sempre più persone che fanno ricorso ad ansiolitici. Sono venuto a sapere anche di persone che fanno ricorso a stupefacenti per reggere. La droga del manager può essere la cocaina – è un fatto risaputo. Per breve tempo ti dà questa droga una sensazione di onnipotenza (dicono le testimonianze) e l’adrenalina a mille. Peccato che le conseguenze su di sé e sull’ambiente siano nefaste.
La resilienza del manager deve essere la più alta di tutti in azienda!
È possibile evitare sia l’ansiolitico sia la droga.
Dopo aver snobbato la meditazione e la mindfulness perché “spirituali”, il mondo manageriale è pronto ad accoglierle.
L’occhio d’aquila di cui il leader ha bisogno si acquisisce solo se:
mantieni la capacità di rilassarti e di osservare,
mantieni alta la sensibilità a ciò che ti accade dentro,
sei capace di condividere e di lasciar andare ciò che non è più congruo,
sei capace di svuotare la mente e di creare uno spazio di silenzio in cui l’intuizione può far capolino.
In realtà, questo vale per tutti. Non solo per i leader o i manager.
Lo Zen (meditazione) aiuta. Non è una pratica monacale o per raggiungere il nirvana. È una pratica ordinaria di salute e di resilienza. Serve anche a non farci cadere nell’arroganza del sapere.
Ci prepara, ci rigenera, ci tiene aperto il cuore anche nei momenti difficili. Ci mette in contatto con i nostri limiti e ci fa vedere i nostri punti deboli. Ci dà la forza quotidiana di sistemare, riparare, migliorare.
Non è psicologia. È oltre la psicologia. La psicologia si occupa della mente. La mente è il passato.
Lo zen è non-mente. È qui-e-ora. È osservazione della realtà con occhi sempre freschi. È accoglimento del paradosso e della contraddizione. È abbandono del controllo e della tensione. È saper seguire il flusso anche nelle difficoltà.
Lo Zen è anelare ad avere uno sguardo d’aquila e con costanza riuscirci senza sforzo!
In questo editoriale abbiamo parlato di:
©️Anurag Rocco Gaeta – no-effort management – 6 febbraio 2021
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