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Il management e le passioni

Il successo passa anche attraverso la compassione


“Ma sei impazzito? Ti metti a parlare di “management compassionevole” (compassionate management) nel business? La compassione è roba da ospedali, da case di cura… lì sì che serve compassione con tutti quei malati, che poverini, hanno bisogno! Di quale compassione ha bisogno un mio collaboratore che è pagato per svolgere quel dato lavoro? Perché mi dovrei occupare di lui? Ho già molto da fare, figuriamoci se mi metto a usare compassione”

La catarsi del mio amico, leader di successo di una grande azienda italiana, mi crea una sfida.

Devo riuscire a spiegare che la compassione è l’unico vero mezzo di successo nel nostro mondo così incerto.


Essere compassionevoli per me significa andareverso il successo. Il successo dei miei collaboratori diventa il mio successo.


Un modello di team building che non è per tutti


Lo ammetto. Quanto sto per illustrare non è per tutti. Per una semplice ragione: molti di noi non hanno ricevuto compassione quando erano alle loro prime esperienze. Anzi, hanno memoria di solitudine, di mancanza di feedback, di aver dovuto lavorare per dimostrare, di non essersi sentiti all’altezza…

No, il compassionate management non è per tutti. Solo ciò che hai ricevuto puoi trasmettere, a meno che quello che hai vissuto ti abbia fatto così male che non vuoi che altri provino la tua stessa sofferenza. Cambiare è sempre una scelta. A volte però non si sa come cambiare.


Io mi trovo a diffondere questo modello di team building, non solo perché medito. La meditazione, infatti, mi permette di conoscere l’importanza della manifestazione del proprio limite.



Lo faccio perché il mio primo capo senza saperlo era un compassionate manager. Le mie difficoltà? Le preveniva. I miei limiti? Me li faceva esprimere, dicendomi: non aver mai paura di mostrarli. Se li mostri, qualcuno ti potrebbe aiutare. E chi meglio del tuo capo potrebbe farlo. Certo, qualcuno potrebbe anche approfittarsene, anche il tuo capo, ma vale la pena rischiare.

Lui teneva al mio successo perché teneva al suo.


La mia esperienza a Il Sole 24 Ore


Sotto la sua guida, creammo dal nulla un sistema di gestione delle risorse umane al Sole 24 Ore degli anni ’90. All’epoca il quotidiano smise di essere solo un quotidiano. Diventò un gruppo editoriale articolato. Era una realtà in piena espansione che richiedeva energie fresche, motivate e tanta creatività. Mi sento grato alla vita per aver vissuto un periodo così.


L’attività di leadership e le passioni umane


Devo procedere con ordine. Devo mettere in fila le cose.


Devo far comprendere come mai il compassionate management può funzionare.


L’azienda è un sistema. La pratica sistemica ci dice che tutto è interdipendente.L’attività del leader consiste nel far sì che i collaboratori vadano nella direzione da lui auspicata.

Il leader deve ottenere certi comportamenti. Deve rispettare certi piani e certi impegni con i clienti. Egli dipende dall’efficienza e dall’efficacia della sua squadra di collaboratori.


Occuparsi dei collaboratori è un aspetto cruciale dell’attività di leadership. Al leader serve sempre di più gente motivata, creativa, intraprendente, precisa e presente.


Ora cosa impedisce tutto questo?

La risposta è semplice. Le passioni!!! L’etimo della parola ci dice che è qualcosa che subiamo. La passione ci travolge, è irresistibile, non riusciamo a governarla.

“L’azienda è un luogo di passioni? Ma cosa stai dicendo?” mi apostrofa il mio amico.

“Sì, gli dico. Osserva. L’ambizione è una passione, la paura è una passione, la rabbia è una passione, la gelosia e l’invidia sono passioni, la competizione è una passione. Ti sembra strano parlare di passioni? La motivazione cosa è? Passione trasformata in creatività!” gli rispondo.


La passione ci spinge a superare i limiti. Oppure la passione ci blocca in modo esagerato.


Prendiamo la paura. Con la paura si governa il mondo. È una realtà. Con la paura si sono governate e si governano molte aziende. Si può trattare di paura:

  • della punizione,
  • di essere emarginati,
  • di perdere il proprio posto di lavoro.

“Stai con il fiato sul collo e otterrai ciò che vuoi”. “Sono pagati per dare ciò che chiedo senza che io stia a fare da balia”

Queste sono espressioni del cosiddetto management basato sulla paura.

Questo stile di direzione è demotivante, deresponsabilizzante, uccide l’iniziativa e la creatività. Spinge alla vendetta.


Un esempio di utilizzo della paura nel family business


L’ho visto in alcune realtà di family business che ho affrontato. Un imprenditore si lamentava che gli impiegati e operai avessero poca iniziativa. Aveva ereditato l’azienda dal padre, che aveva gestito tutto basandosi sull’incutere. Le persone erano timorose di dire la propria opinione e nascondevano gli errori. L’imprenditore mi disse che il padre li aveva governati con le sfuriate e standogli sempre con il fiato sul collo. Il personale era lì da 20 anni. Nessuno era mai stato licenziato, anche se quella del licenziamento era stata sempre la leva.

Il figlio si trovava a gestire una realtà fuori sintonia rispetto al nuovo mondo che aveva difronte. Gli servivano adesso dipendenti che gli condividessero ciò che accadeva. Così avrebbe migliorato i processi e ridotto gli sprechi. Con lui ho fatto un percorso sistemico e di compassionate management. Dopo qualche tempo la situazione è decisamente migliorata. Soprattutto lui ha potuto ridurre l’ansia che lo affliggeva.


Il Compassionate Management porta a collaboratori responsabili


Il compassionate management va in direzione opposta perché è interessato a collaboratori responsabili. Non è interessato alla gestione di automi. Ogni sfida di cambiamento richiede l’intelligenza di tutti.

Chiariamo: non è un’attività di accudimento o di benevolenza, come spesso è fraintesa la compassione. È un’attività che modifica la cultura aziendale. Creare una cultura ha un vantaggio su altri metodi. Produce certi comportamenti senza che debbano essere più sollecitati ripetutamente con sforzo. Accadono perché diventano costume. E le persone custodiscono senza accorgersene questi comportamenti virtuosi.


Il compassionate management prende in considerazione il possibile vissuto del collaboratore. Per dirla con termini semplici porta alla luce i “no” , le obiezioni del collaboratore ai compiti affidati. Fa emergerei possibili limiti all’azione.



La presenza di passioni rende sempre tutti meno lucidi.

Le domande che mi faccio e che dovrebbe farsi un manager sono:

  • cosa sta attraversando il mio collaboratore?
  • come posso aiutarlo a neutralizzare la passione che sta vivendo?
  • ha paura di non farcela?
  • è attraversato dal perfezionismo?
  • ha paura di sbagliare?
  • non si sente all’altezza?
  • si sente disorientato?
  • Come sappiamo, si tratta di passioni comuni e facilmente osservabili, se non si mente a se stessi.

Compassione ed empatia


La compassione è diversa dall’empatia. La seconda ci indica che siamo capaci di entrare in sintonia con un sentimento dell’altro. È già qualcosa. Come l’empatia, la compassione contiene la spinta a metterci nei panni del collaboratore, a comprenderne le difficoltà, a non dare per scontata la nostra opinione su di lui.

In più ci spinge a dare una mano impostando una strategia di aiuto alla risoluzione dei suoi problemi.


Leadership delle relazioni: rapporto genitore-figlio o adulto-adulto?


In fondo, l’attività di management consiste nel raccogliere e gestire informazioni. Far emergere gli stati d’animo è una importantissima attività di raccolta di informazioni. Essa fa emergere i possibili blocchi energetici del sistema.

Cosa mi aspetto di ottenere dal compassionate management? Collaboratori adulti e responsabili.


La gestione basata sulla paura e sul disinteresse per le passioni porta ad un rapporto genitore-figlio.



La passione negativa verso il compito è una difesa. Si traduce o in un “no” conscio o inconscio al compito o in un “sì” che in realtà potrebbe derivare da una sopravvalutazione. Più il collaboratore è in alto nella scala gerarchica più il leader è a rischio. In questo caso, il collaboratore, pur di farcela, nasconderà le proprie vulnerabilità. Renderà così vulnerabile tutta l’organizzazione.

Il collaboratore invitato a presentare le proprie vulnerabilità può essere aiutato.


La vera responsabilità e forza sono il riconoscere il proprio limite e chiedere aiuto se serve.


Dall’altra parte ci deve essere una persona pronta a dare aiuto. Certo, le persone non si espongono per paura di ritorsione. Spesso trattengono e coltivano il malumore.

Il malumore è un veleno per le relazioni e le interazioni aziendali.



Ancora un caso di azienda familiare


È accaduto.

Un giovane manager viene investito della responsabilità del ridisegno dei flussi operativi di una linea di produzione. Il capo gliriconosce intelligenza e gli dà fiducia, nonostante la giovane età.

Il giovane manager si sente gratificato e allo stesso tempo sente una stretta allo stomaco. Sente che il compito è troppo gravoso rispetto alla sua esperienza. Però, tace. Non vuole deludere. Si mette al lavoro giorno e notte per raggiungere gli obiettivi assegnati.

Peccato però che il progetto tardi a prendere forma. Il giovane manager non fa presenti i suoi bisogni; pensa che non deve deludere. Il manager non sente di poter essere un capo progetto autorevole. Dovrebbe confrontarsi con gente più anziana ed esperta di lui.

Il suo capo – suo padre – aveva dato per scontato che lui potesse esercitare autorevolezza in quanto membrodi famiglia.

Quando mi chiedono di sostenerlo con un coaching, per prima mi dispongo in atteggiamento compassionevole. Non voglio farlo diventare nient’altro che se stesso. Lo faccio parlare e mi immagino di essere lui. Nelle sue parole traspare la difficoltà di non sentirsi veramente all’altezza. Gli faccio comprendere la necessità di esporsi. Suo padre, tanto temuto, invece, lo accoglie, gli conferma fiducia e ammette l’errore di averlo lasciato solo.

Quando tratto il family business, spesso, mi accade di incontrare queste situazioni. I figli non vogliono deludere e si accollano compiti che li sovrastano. Se il giovane fosse riuscito a dire: “è troppo per me”, avremmo avuto un quadro più chiaro. Avremmo creato da subito le condizioni di successo per il figlio e per il progetto.

Il leader compassionevole punta alla responsabilizzazione del collaboratore. Punta ad ottenere sincerità e commitment. Sviscerare le difficoltà porta chiarezza. Il collaboratore non si sente lasciato solo. Può portare alla luce i suoi limiti e il manager sa dove e come lo deve supportare. Il progetto prende forza perché tutte le forze in campo sono delineate.


Benessere individuale e benessere organizzativo


Le passioni muovono il mondo. Meglio prendere coscienza che anche il business ne è attraversato e imparare a gestirle e non solo a manipolarle.


Il management basato sulla paura è incapace di gestire le passioni. Così tenta di dominarle con l’aggressività.



Accade.

In alcune aziende, il titolare con un tale stile di direzione, spesso ha problemi cardiaci dovuti all’ansia di controllo e alla paura. Le vittime della sua aggressività, infatti, potrebbero danneggiarlo per vendetta delle vessazioni subite. Lui lo sa. Vive in una cultura di sospetto.


Ogni scelta porta delle conseguenze sul nostro benessere.


Io insegno a osservare. L’osservare porta alla compassione. L’osservazione, infatti, non è freddo distacco. Comporta il prendere distanza dalle cose e dalle situazioni, per vederle così come sono. Fa vedere di più senza coinvolgimento, senza negare le passioni e senza caderne vittima.

L’osservazione è lo strumento di cui si serve la compassione.


La compassione, a mio parere, è l’unico strumento che permette la responsabilizzazione dei dipendenti.



Essi si sentono visti, capiti e supportati. Escono dalla dinamica appresa con i genitori: impauriti o timorosi di deluderli. Possono esprimere il loro essere adulti con le loro virtù e le loro incertezze, creando le basi per la loro crescita.

Non basta dire al collaboratore: sei bravo, mi fido di te e aspettare che accada quel qualcosa che gli abbiamo chiesto.

La compassione ci permette di capire il vero stato energetico dei progetti.

È uno strumento che, con un po’ di pratica, ogni leader può utilizzare.


Si basa sul far leva sull’intelligenza delle persone e sul farle uscire da uno stato emotivo negativo.


Quanto tempo si spreca con le emozioni negative in azienda e nella vita! Quanto tempo si spreca nella tensione inutile!

La tensione è una scelta! Il risultato è lo sforzo.


In questo editoriale abbiamo parlato di:

  • compassionate management e fear-based-management
  • family business e stili di direzione
  • parola sistemica chiave della settimana: COMPASSIONATE MANAGEMENT (trovi tutti gli approfondimenti sulla pagina no-effort management di Linkedin
  • team building
  • rapporto genitore-figlio in azienda
  • crescita dei collaboratori
  • paura e passioni in azienda

©️Anurag Rocco Gaeta – no-effort management – 13 febbraio 2021

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